Per l’8 Marzo ho deciso di interpretare una grande donna, o forse 2. Chi mi conosce sa che il mio nome Cristina arriva da Cristina di Svezia, regina del 1600 la cui vita ispira il manga degli anni 70 che ha rivoluzionato la narrazione degli eroi e del potere machista.
“Il buon padre voleva un maschietto ma ahimè sei nata tu.” è questa la retorica con cui ci hanno cresciuto: essere donna è un dispiacere. Per secoli, per le famiglie avere una figlia era una disgrazia. È dai tempi di Eva che la Donna viene raccontata come surrogato di un uomo, nata da una sua costola, destinata ad avere un unico ruolo quello di Peccatrice.
Le donne nella storia sono state sempre descritte come mere ammaliatrici, anche quando erano grandi imperatrici come Cleopatra, vengono raccontate nei libri di scuola come la rovina di un uomo, il bell'Antonio sedotto dalla regina egizia. E non importa se sono state intellettuali come Cristina di Svezia o addirittura Premi Nobel come Rita Levi Montalicini, rispetto ad un uomo secondo la retorica patriarcale, la donna non è mai abbastanza.
Lady Oscar incarna questa retorica ribaltandola, cambiandone la prospettiva,
Una sorta di manifesto femminista a fumetti. È stata la stessa autrice Riyoko Ikeda a puntare l’attenzione su questa interpretazione e sui limiti nei quali erano costrette le donne non solo nel Settecento pre-rivoluzionario francese ma anche all’epoca della realizzazione del manga, a partire dalla sua stessa sfida di volersi fare mangaka e non più semplicemente, come avrebbe voluto la tradizione di genere, servizievole sposa.
Anime degli anni ‘80 e ‘90 che apre un varco nella narrazione, non solo dell’infanzia, ma rappresenta una vera e propria eroina fino ai giorni nostri, divenendo icona transfemminista, che sposa non solo le battaglie contro le barriere di genere, parità, ma anche lotta di classe, alla schiavitù, diritto allo studio e più di ogni altra cosa di libertà.
Foto: Giuseppe Perna
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